Comune di
Occhieppo Inferiore

Università Popolare Biellese
per l’educazione continua

Ernesto Schiaparelli
nel centocinquantesimo anniversario della nascita

 

pagina iniziale

Ernesto Schiaparelli, profilo

eventi

progetti didattici

multimedia

siti collegati

tratto da:
Elio Parlamento, L’astronomo Giovanni Virgilio Schiaparelli, Biella: Kiwanis Victimule Pagus, 2000, cap. L’egittolo Ernesto, pp. 36-44

Un altro illustre del quale intendiamo trattare è il Senatore Ernesto, nato a Occhieppo Inferiore nel 1856 da Luigi Schiaparelli. Prima, però, di fare la conoscenza di quello che fu un Egittologo di fama mondiale, crediamo sia doveroso ricordare che il padre dello stesso fu imo storico di elevata cultura Docente di storia ali Università di Torino.

Ciò premesso, passiamo al ricordo del Senatore Ernesto, attraverso la commemorazione del medesimo avvenuta il 4 giugno 1931’ in occasione «dello scoprimento del busto che lo ricorda in una sala del R. Museo di antichità a Torino alla presenza di S. A. R. il Principe di Piemonte».

Il Gr. Uff. Giulio Farina, Direttore del Museo di Egittologia, salutato l’Ospite Augusto, presentava S. E. Roberto Paribeni, Accademico d’Italia, Direttore generale delle Antichità e Musei.

S. E. Roberto Paribeni, cosi parlò:

"Dire di Ernesto Schiaparelli in questo giorno, in cui il Museo da lui tanto sapientemente diretto si adorna della sua effigie dovrebbe esser privilegio di più degno oratore e di più profondo conoscitore della vastità dell’opera di lui come scienziato e come suscitatore mirabile di energie italiane nel mondo. Alle poche e incomplete cose che io potrò dire siano d introduzione e di giustificazione anzi tutto i sensi di omaggio che ho l’onore di portare del Dicastero dell’Educazione Nazionale e del suo capo, ministro Balbino Giuliano, figlio aneli esso di questa vostra nobilissima regione, in secondo luogo l’affettuosa reverenza che mi legò al maestro e la comunanza di vita che ebbi con lui durante qualche periodo della sua esistenza tutta sempre nobilmente, sagacemente, fortemente operosa. E soltanto una qualche durevole dimestichezza con lui poteva far scoprire F altezza dei servigi che egli silenziosamente rendeva alla religione, alla scienza e alla patria, come le eccelse doti d’intelligenza e di bontà che egli con grande studio celava. Talché qualche turbamento mi arreca più ancora della mia insufficienza il ricordo di quella modestia quasi rude e scontrosa che non amava, non tollerava elogi, e che, se questi onori gli fossero stati proposti da vivo, avrebbero fatto comporre in un atteggiamento di malcontento e di rimprovero la dolcezza grave e serena dei suoi lineamenti.

Ma all’esempio, al decoro, al bene dei superstiti e doveroso sacrificare anche le suscettibilità dei grandi che non sono più".

Ernesto Schiaparelli era nato a Occhieppo Inferiore, presso Biella il 12 luglio 1856 da una famiglia che diede al paese non pochi altri valorosi uomini di scienza. Suo padre Luigi fu professore di storia antica in questa Università di Torino, suo cugino fu l’insigne astronomo Giovanni Schiaparelli, altro suo cugino l’arabista Celestino, e suo nipote il più illustre dei nostri studiosi di paleografia e diplomatica Luigi Schiaparelli, maestro tra i più eminenti della Università di Firenze. Gli studi di antichità, prediletti dal padre, non mancarono rii attrarre l’attenzione del figliuolo, e quando ali animo già per tal modo inclinato del giovanetto si rivelarono le meraviglie del Museo Egiziano di Torino, la vocazione allo studio della misteriosa e possente civiltà della valle del Xilo fu certa e definitiva.

È noto che non appena l’Egitto fu dalla spedizione napoleonica riaperto alla civiltà europea, e il paese cominciò a svelare qualche aspetto della prodigiosa sua antichissima storia, il re di Sardegna Carlo Felice, volle assicurare alla scienza la ricchissima collezione di antichità formata in Egitto dall’animoso console sardo Bernardino Drovetti e, acquistatala, la fece trasportare nella sua capitale. La collezione egizia del Museo di Torino fu per alcuni decenni la più ricca d Europa, offrì il più cospicuo materiale di studio al savoiardo Jean François Champollion, che tra le altre cose vi ricompose il Papiro Reale, documento d’inestimabile valore per la cronologia egiziana, che riferisce la lista rii tutti i Faraoni da Menes ai sovrani della ventesima dinastia con l’indicazione degli anni, dei mesi e dei giorni di ciascun regno. E altre ragguardevoli opere sulla civiltà egizia erano a Torino pensate e scritte: la «Grammatica Egizia» e i «Papiri Copti» di Francesco Rossi, il «Dizionario di Mitologia Egizia» di Rodolfo Lanzone, la «Grammatica» e il «Dizionario Copto» di Amedeo Peyron.

Le Schiaparelli, conseguita nel 1877 a Torino la laurea con una tesi di antichità egizie, fu a Parigi a perfezionarsi nei suoi studi sotto la guida di Gaston Maspero che lo ebbe poi sempre carissimo, e al suo ritorno in patria, ancora giovanissimo, fu assunto in servizio nella Amministrazione delle Antichità e Belle Arti con l’incarico di catalogare e ordinare la collezione egizia proveniente per gran parte dalle ricerche e dagli scavi del grande nostro Ippolito Rosellini e conservata nel Museo di Firenze. E in quei primi anni di studio intenso egli dava la prima edizione, con traduzione e dotto commentario, del Libro dei Funerali, uno dei testi più insigni della letteratura religiosa degli antichi Egizi, da lui ricostituito con grande acume e sagacia da tre esemplari diversamente incompleti, da papiri del Louvre, da un iscrizione della Valle dei Re e da una cassa di mummia del Museo di Torino. L’opera grandiosa in tre volumi meritava ali autore ventiquattrenne il premio reale dell’Accademia dei Lincei, e lo poneva di colpo in prima linea tra i maggiori studiosi di antichità egizie.

Pochi anni dopo, nel 1884, egli pubblicava due nutrite Memorie sulle «Migrazioni degli antichi popoli d Asia Minore studiate nei Monumenti egiziani» e sul «Significato simbolico delle Piramidi egiziane», e nel 1887 il dotto, ampio catalogo della collezione egizia del Museo di Firenze.

Nel 1894 era chiamato a succedere al suo maestro Francesco Rossi, nella direzione del Museo di Torino. Tornava egli così alla bella raccolta che aveva già infiammato i suoi primi entusiasmi giovanili, e vi tornava non ad ammirarla, giovane visitatore più meravigliato che consapevole, ma a reggerla e a porla in valore, maestro ormai e dominatore di ogni segreto dell’ ardua sua scienza. Non vi era per un egittologo in Italia più alta conquista da fare.

A vent’otto anni egli aveva raggiunto tutto quello che i suoi studi gli potevano promettere.

Per quanti altri giovani sarebbe stato pericoloso e dannoso giungere così presto al vertice della propria via! Ma l’animo di Ernesto Schiaparelli poteva resistere al dolce narcotico che è il rapido successo. Alle cose, egli mirava, e non a se stesso. E la grande soddisfazione toccatagli non mancava per uno spirito così eletto di qualche amarezza.

Il Museo Egizio di Torino non era più, come venti anni addietro, il primo o tra i primissimi musei egizi del mondo. Aperto, dopo la presa di possesso inglese nel 1882, a ritmo di vita europea, l’Egitto, non solo si costituiva su più solide ed efficaci basi un amministrazione delle antichità nel paese, ma tutti i maggiori Stati di Europa e perfino gli Stati Uniti di America iniziavano alacri ricerche e larghi acquisti di cose antiche in Egitto. Il piccolo museo di Cizeh diveniva il gigantesco museo di Cairo, e si accrescevano con sorprendente rapidità le collezioni del British Museum, del Louvre e persino quelle fino allora appena degne di menzione di Berlino, di Bruxelles, di New York, di Boston. L’Italia era assente, e il nobile primato, in tempi aspri conquistato alla piccola capitale del piccolo Piemonte dalla abilità di un console e dalla magnificenza di un re, si avviava a diventare melanconico ricordo e, insieme a non poche altre più gravi, molesta prova di insufficienza e di pusillanimità del nuovo Stato Italiano.

Ernesto Schiaparelli meno di ogni altro poteva accontentarsi di questo stato di cose. Egli era di ([nella schiera di uomini oltremodo esigua in quegli anni che chiusero il secolo XIX, i quali sentivano che l’Italia non doveva chiudersi tutta entro la miseria degli interessi dei collegi elettorali, era di quei pochissimi che non si sgomentavano ai clamori insolenti degli agitatori socialisti, che non dimenticavano nelle angustie e nelle bassezze della quotidiana vita nazionale le grandi competizioni internazionali, che non vedevano umili e rassegnati un superiore in qualunque straniero ci si parasse davanti, che non credevano che il mondo dovesse interessare gli Italiani solo per disperdervi, a chiedere l’elemosina, la più disorganica e la più derelitta delle emigrazioni.

La necessità di affermare e difendere nel mondo la dignità e l’onore d’Italia, quella necessità che molti non riuscivano a sentire, che altri consideravano soddisfatta con lo sterile rimedio di vane querimonie letterarie e filosofiche (ricordate «Sull’Oceano» di Edmondo De Amicis e «Emigranti» di Angelo Tommasi), quella necessità fu in Ernesto Schiaparelli sentimento seno, fecondo, operoso, che venne felicemente a connettersi e quasi a connaturarsi con il suo profondo, incrollabile sentimento religioso.

Già nei giovanissimi anni della sua vita di Firenze, strettosi a Fedele Lampertico e ad altri pochi, aveva dato vita a quella Associazione Nazionale per la Protezione dei Missionari Italiani che da umili origini divenne, nelle mani di lui, possente e fervida energia cattolica e nazionale. A Torino si intensificò quell’opera, ed accanto si svolse l’altra che egli considerava suo stretto dovere d’ufficio: quella di ridar vita al Museo Egizio Piemontese, da troppi anni rimasto immobile nella opulenza ormai decadente delle sue collezioni.

Le ripetute richieste di Ernesto Schiaparelli non erano ancora riuscite a vincere le esitazioni delle autorità ministeriali, quando le ascoltò e le accolse intere la liberalità illuminata di S. M. il Re Vittorio Emanuele III.

Per tal modo, dal 1903, al 1920, quasi ogni anno lo Schiaparelli fu a lavorare in Egitto, riportando messe abbondante e cospicua sia di materiali da studio, sia di oggetti per il Museo di Torino. La perfetta conoscenza del paese gli permise di chiedere concessioni di scavi in luoghi del più alto interesse archeologico, e solo la grande stima ed affetto che per lui aveva Gaston Maspero, allora direttore del «Service des Antiquités» in Egitto, gli rese possibile di veder sempre accolte le non timide sue domande, come la grande abilità di scavatore e la rigidezza fantastica di amministratore gli consentì di porre l’opera della Missione Italiana in primissima linea, innanzi a non poche altre fornite di mezzi assai più abbondanti.

Gli scavi di maggiore importanza e di più largo successo furono:

I.          Presso la piramide di Cheope nella necropoli di Menfi, dove si posero in luce alcuni resti del tempio della piramide stessa e alquante mastaba dell’antico impero;

II.        A Heliopolis, dove si rinvennero resti di abitazioni delle prime dinastie e di età predinastiche e le rovine del tempio di Mnevis;

III.     Nella vasta necropoli di Asyut, ponendo in luce un abbondantissimo materiale del periodo in cui Siut fiorì, e che è tra i più oscuri della storia d’Egitto, per esser compreso tra la decadenza dell’impero di Menfi il primo affermarsi della potenza di Tebe tra la VI e la XI dinastia;

IV.      Nella necropoli di Antaeopolis, (Gau el Kebir), città eretica che adorava Set, il dio a testa di okapia, simbolo del male e nemico e persecutore di Horus. Le tombe dei sacerdoti di Set apparvero devastate con singolare furore, segno del profondo odio scatenato dal grave scisma religioso. I frammenti delle decorazioni in stucco dipinto e delle iscrizioni geroglifiche si rivelano però di superba bellezza, segno di una grande floridezza artistica raggiunte durante la quasi ignota XIII dinastia;

V.         In due valli della immensa necropoli tebana, e cioè nella valle delle Regine riservata alla sepoltura delle mogli dei Faraoni, nella quale fu tra le altre messa in luce la tomba della regina Nefertari moglie di Ramsen II, il Faraone di Mosè, tomba già saccheggiata, ma che conserva la magnifica decorazione a stucchi dipinti e le lunghe iscrizioni geroglifiche delle molte sue sale e gallerie. Nell’altra valle di Der el Medineh fu tra le altre trovata la tomba intatta di Kha e di sua moglie Mirit con un portentoso corredo funebre che è ora in questo Museo di Torino. Kha era stato architetto dei Faraoni della XVIII dinastia da Tutmosis III a Amenophis III, e aveva avuto parte importante nei grandi monumenti che la magnificenza di quei grandi sovrani aveva fatto elevare;

VI.      A Gebelein, nell’area del famoso santuario di Hathor e nella necropoli, che fornì un’ingente copia di materiale predinastico.

Da tutte queste esplorazioni il Museo di Torino guadagnò un poderoso incremento, ancora per insufficienza dei locali non del tutto noto e visibile, ma tale che torna a porlo tra i più ricchi musei egizi del mondo.

Per quanto riguarda i risultati scientifici degli scavi, essi sono pubblicati con grande magnificenza in due grossi volumi sulla necropoli tebana, e ne è pronto un terzo su Eliopoli. E di questi ultimi anni è pure un altro poderoso studio dello Schiaparelli, quello su «La geografia dell’Africa Orientale secondo le indicazioni degli antichi monumenti egiziani».

Ma molti più lavori egli avrebbe dato alla scienza, se la parte maggiore della operosissima sua giornata non fosse stata assorbita dalla grande impresa, alla quale da solo attendeva per la tutela e per la diffusione nel mondo della civiltà italiana e cattolica. Non sarebbe possibile esporre con la dovuta ampiezza le insigni benemerenze del compianto maestro in questa immensa e silenziosa opera.

Le due istituzioni: Associazione Nazionale per la protezione dei Missionari Italiani e Italica Gens per l’assistenza agli emigranti italiani si impersonavano in lui segretario generale e perpetuo, e significavano fondazione, direzione, amministrazione, assistenza minuziosa e quotidiana, non senza frequenti visite personali, a qualche centinaio di case religiose, chiese, scuole, collegi, orfanotrofi, ospedali, ambulatorii, case degli emigranti in tutto il mondo, dall’Albania alla Cina e dalla Siria al Perù. Nulla gli fu ignoto delle più piccole circostanze di quanto gli Italiani facevano all’estero, o di quanto poteva aprirsi a una loro attività non ancora iniziata. Ricordo che nell’aprile del 1914 egli venne ad aprire due scuole e ad acquistare terreni in Adalia, in Asia Minore. Io ero stato già laggiù qualche mese nel 1913, ed ero di nuovo sul posto che egli visitava per la prima volta. Credevo di potergli dare delle notizie.

Sapeva già tutto meglio di me, conosceva uomini e cose e costumi e possibilità economiche, in modo perfetto. Sapeva con chi doveva parlare e in qual modo parlargli. E le autorità turche uscite allora dall’aver perduto la Tripolitania, parlavano della venuta di questo Sbabarelli effendi con lo sgomento con cui i loro maggiori del tempo delle guerre di Morea avranno parlato di Francesco Morosini e delle galee della Serenissima. Quanto insomma Ernesto Schiaparelli ha ottenuto in questa sua attività si eleva forse ai fastigi del prodigio, accanto ad altre due opere piemontesi ugualmente vaste e dilaganti: quella dei Salesiani di Don Bosco e quella delle sovrumane fondazioni pie del Cottolengo. Taccio pertanto in questa sede di studi l’elogio di quanto meglio in gloria del ciel si canterebbe.

Ma non si dimentichi, quanto quell’opera fu giovevole ai più alti interessi del nostro paese, come con più competente autorità e con più nobile parola affermò nella commemorazione in Senato il Sottosegretario agli Affari Esteri.

"Alla mia filiale devozione consentite solo la minuzia di un ricordo personale. Fui per l’ultima volta un po’ a lungo vicino a Ernesto Schiaparelli nel tristo autunno del 1917, nei giorni di Caporetto. Profondamente addolorato, profondamente sdegnato per le debolezze dei reggitori verso il fronte interno, egli non sentì mai diminuita di una linea la incrollabile fiducia nel successo finale. E quella fiducia infondeva negli altri con le parole e più con gli arti. Furono le uniche volte in cui quel grande silenzioso mi accennò ad alcune delle tele che tesseva infaticabile nelle varie regioni del mondo. La serena alacrità con cui egli da solo non continuava, ma raddoppiava i suoi sforzi per tener più che mai salde e collegate ed integre in un santo orgoglio nazionale le energie italiane sparse nel mondo, mi pareva qualche cosa di portentoso, come l’idea della guerra contro Cartagine in Spagna concepita dal giovane Scipione scampato appena dal disastro di Canne. E quella oscura camera soffocata di libri e di carte, quel tavolino, su cui ad ogni poche ore si rinnovavano fasci di lettere provenienti da ogni parte del mondo, mi pareva meritassero un poco dell’elogio ciceroniano dell’aula senatoriale romana: templum sanctitatis, amplitudinis, consilii, ara sacrorum, portus omnium gentium.

Non bisogna, però, dimenticare che Ernesto, oltre che un importante e stimato egittologo, fu anche un filantropo di profonda umanità, come viene ricordato nella seguente testimonianza contenuta nel Bollettino Parrocchiale di Occhieppo Inferiore del 3 agosto 1996: «Ernesto Schiaparelli: anzitutto uomo di grande fede. In occasione del l-tO° anniversario della nascita ad Occhieppo Inferiore del Sen. Ernesto Schiaparelli, sia a Torino che a Biella, sono state attivate varie iniziative per ricordare questo illustre studioso piemontese ed egittologo di fama internazionale.

Venne giustamente esaltato il valore storico e scientifico delle sue attività di ricerca in Egitto (1903 - 1921) e coronate dal rinvenimento più suggestivo effettuato nella valle delle regine costituito dalla tomba di Nefertari.

Esiste però un altro aspetto della vita e dell’attività di questo grande occhieppese altrettanto valido ed ancora più importante di quello scientifico che merita di essere ricordato: quello dell’ uomo di grande fede cristiana.

Infatti nel corso dei suoi viaggi di ricerca e studio che non si limitarono al solo Egitto, l’attenzione dello Schiaparelli fu colpita dalle condizioni di miseria in cui versavano molte popolazioni del Medio Oriente. Allo scopo di aiutare questi disagi fondò un’associazione, riconosciuta dallo stato italiano, che si attivò subito nella costruzione e gestione di asili, scuole ed ospedali.

Tutte queste opere, che nel 1928, anno in cui morì lo Schiaparelli, ammontavano ad oltre duecento, erano e sono sostenute da questa associazione per la quale da sempre prestano servizio gratuito molti gruppi di volontari.

Recentemente sono state ricostruite le sale operatorie dell’ospedale italiano di Haifa; è stata ristrutturata la scuola per giovani arabi della medesima città ed ampliati l’asilo e la scuola di Kafr Kana. In Galilea poi gli sforzi dell’associazione sono riservati in modo particolare verso la vasta area di terreno da essa posseduto sulle sponde occidentali del lago Tiberiade.

In quel tempo, mentre lo Schiaparelli si recava nei vari paesi del Medio Oriente, si soffermò a lungo in Palestina e proprio in Galilea, nella zona del lago di Tiberiade, centro dell’attività terrena di Gesù Cristo, volle assicurare per il bene dell’umanità e del cristianesimo che almeno una parte di quella terra benedetta rimanesse intatta nella sua bellezza e nel ricordo dei grandi episodi evangelici.

Nella zona collinosa che da Cafarnao si estende verso occidente, riuscì ad acquistare dai beduini una vastissima area di terreni con l’unico nobile scopo di conservarla così come era stata per migliaia di anni.

La citata associazione sta ultimamente affrontando un grande sforzo finanziario per la costruzione della zona del "Monte delle beatitudini" di un centro di accoglienza per turisti pellegrini e di un "Centro di Bibbia e preghiera" per gruppi desiderosi di approfondire la conoscenza delle sacre scritture in un’atmosfera di preghiera e contemplazione. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto, per primo, dare il suo generoso contributo a tali iniziative devolvendo una cospicua somma.

Anche la nostra parrocchia fu oggetto della generosità del Senatore Schiaparelli.

Infatti nel 1920, dopo la morte del Prof. Bruno Fedele (al medic Brün) tutta la proprietà del vecchio castello di Occhieppo (ora casa per le opere parrocchiali) passò, per disposizione testamentaria, all’Ospedale maggiore di San Giovanni Battista della città di Torino (le "Molinette").

Con contratto del 30 ottobre 1920, approvato dal consiglio di amministrazione dell’ospedale con delibera del 12 febbraio 1921, il Senatore prese in affitto tutta la proprietà, destinandola gratuitamente alla Parrocchia, riservandosi il diritto di prelazione nel caso che, entro sei anni, avesse deciso di farne acquisto.

Tale acquisto si concretò con atto notarile del 24 novembre 1925 e da quella data la parrocchia entrò nella piena proprietà dell’immobile.

Quasi tutta la spesa fu sopportata personalmente dal Sen. Schiaparelli, mentre il Circolo Giovanile "FIDES" ed il Ricreatorio femminile Francesca Schiaparelli parteciparono con un concorso più simbolico che sostanziale.

La nostra parrocchia deve quindi imperitura riconoscenza a questo uomo di robusta fede e grande generosità. F. P».

 

Comune di Occhieppo Inferiore

Università Popolare Biellese per l’educazione continua

ultimo aggiornamento: lunedì 21 gennaio 2008